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Il valore dell’inesperienza

«Non affidate a un ragazzo il lavoro di un uomo». Era il 1997 e uno slogan del partito conservatore britannico cercava di dissuadere così l’elettorato dal votare Tony Blair. Sappiamo come è andata a finire. La storia ci restituisce l’immagine, pur con qualche ombra, di un “ragazzo” che non soltanto ha svolto il “lavoro di un uomo”, ma che è stato probabilmente uno dei migliori primi ministri che quel paese abbia mai avuto. Nel nostro Paese, al contrario, in questi ultimi decenni abbiamo assistito alla scrittura di decine di Cahiers de doléances, talvolta solo dell’anima tal’altra dando vita ad un nuovo genere letterario. Nell’operazione – a tratti anche dolorosa – di rinnovamento della politica, dovremmo assumere, nei nostri modelli, sistemi o griglie di lettura, un altro valore che non ha adeguato riconoscimento: l’inesperienza. «Non è l’esperienza quello che conta, quello che conta sono il carattere e la capacità di prendere decisioni», ribatté qualche anno fa David Cameron al concorrente Gordon Brown, secondo cui la difficoltà dei tempi vissuti non avrebbe lasciato spazio ai “novizi”. Inesperienza, non come rifiuto della tradizione e dell’identità, bensì come innovazione, come devianza rispetto a quella che è l’ordinaria amministrazione. Del resto il governo del rapporto tra la regola e la devianza non dovrebbe essere un problema, proprio, di leadership? La modulazione del nuovo e del vecchio non dovrebbe essere capacità di chi è al vertice?
 
Qualche anno fa, l’On. Enrico Letta, in un workshop organizzato con l’associazione Itaca, in Luiss, ci raccontò una favola nordica, che mi ha sempre accompagnato in questi anni:  “La storia ha come protagonisti due bambini piccoli che pattinano su un lago ghiacciato contenti e felici. All’improvviso il ghiaccio si rompe ed uno dei due bambini vi crolla. L’altro allora si guarda intorno e cerca di capire cosa fare: i soccorritori sono troppo lontani e il ghiaccio si sta richiudendo pian piano.  Capisce che ha pochi secondi e l’unica cosa che gli viene in mente di fare è di cominciare a picchiare a pugni nudi il ghiaccio per cercare di riaprire quel ghiaccio prima che il suo amico muoia congelato. Contemporaneamente cerca di attirare l’attenzione, ma vede effettivamente che i soccorritori sono tutti lontani. Alla fine, a mani nude, rompe il ghiaccio e tira fuori il suo amico che riesce a salvarsi. Nel frattempo arrivano i soccorritori che, esterrefatti, si chiedono come la cosa fosse stata possibile e uno di loro, nella discussione, convintamente dice che la cosa è successa semplicemente perché il bambino non aveva l’esperienza sufficiente per sapere che era impossibile”.

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